Un articolo su Louisiana Red di Armando Cereoli
È stato detto molto su questo nobile genere musicale. È stato rinnegato dalla chiesa, disconosciuto da tanti sedicenti critici musicali (non ultimo un cronista del Tg1 che il 31 sera non ha trovato nulla di meglio che identificare Zucchero come il "Re del Blues"!!!), snobbato dal grande pubblico, confuso con manifestazioni musicali completamente diverse.
L'essenza del Blues rimane forse in un frase pronunciata da Mario Insegna, potente batterista dei partenopei Blue Stuff: "Il Blues è semplicità". Punto. Non si tratta di fare discriminazioni sul colore della pelle o sul paese di provenienza del musicista; è vero che i neri, soprattutto se americani, possono suonare blues meglio di chiunque altro, ma chiunque nell'animo abbia semplicità e sensibilità da vendere può fare suo il blues, amarlo e viverlo.
La sera di Capodanno al Big Mama si è perpetuata nuovamente questa tradizione; Louisiana Red, uno dei suoi più significativi sostenitori, ha prestato sentimenti e chitarre al più genuino saluto di millennio cui potessi pensare di partecipare. Più di sei ore di musica continua, un paio di pause, tanto sudore e gioia di vivere. Una gioia che non è stata intaccata da un'infanzia infelice, dal ricordo di un padre assassinato dal Ku Klux Clan, ma anzi che ha tratto linfa vitale e tanto ottimismo proprio dalle difficoltà della vita. Anche questo è Blues.
Guarda caso Mario Insegna era proprio il batterista prescelto per accompagnare Louisiana. Lo abbiamo fermato durante una pausa io e i miei amici per trovare risposta ad un quesito che ci eravamo posti: avevano forse fatto qualche prova per quella serata? La risposta del grande Mario: niente, solo un paio d'ore prima dell'inizio della maratona per mettere a punto forse qualche idea che Louisiana aveva in testa e che poi puntualmente non ha tirato fuori durante la serata, trascinato da se stesso in un impeto inimmaginabile. Più semplice di così...
Due parole biascicate al microfono in uno slang quasi incomprensibile, una specie di monologo interiore in cui ogni tanto si distinguevano nomi come Muddy Waters, Buddy Guy, un collo di bottiglia all'anulare della sinistra, ed ecco che parte il riff su sei corde quasi straziate con il pollice e l'indice della destra; 3, 4, lo stacco di Mario e via in dodici ottavi a tutta birra. Tre quarti d'ora come niente, la durata tipica di uno dei suoi blues, improvvisazione, improvvisazione, ma anche tanto spazio ai suoi compagni d'avventura.
Basta un suo gesto della sinistra, che abbandona per un istante il manico della chitarra, ed è il finale del brano, un ammiccamento con la testa ed è il momento dell'assolo per gli altri, nessuna regola e al contempo una precisione cronometrica, roba da far impallidire qualsiasi megaproduzione live.
Ma chi erano in confronto quei quattro cafoni pompati da decine di migliaia di watt che quella notte starnazzavano tra San Pietro e Piazza del Popolo? Restassero pure là, da parte del sottoscritto nessun invito nè a loro nè ai loro adepti a condividere simili emozioni, perchè Louisiana e tutti quelli come lui sono solo per pochi intimi, affollarsi davanti a loro in qualche migliaio significa...perderli. Ed anche questo è Blues.
Di lui Eric Clapton ha detto che è l'unico musicista capace di suonare 48 ore di seguito senza fermarsi, e come non crederci a vederlo? Da parte sua nessun atteggiamento da star o peggio ancora da grande vecchio del mondo che ha vissuto. Il suo modo di adagiare il suo corpaccione da bluesman nero incallito ricorda un pò quello di John Lee Hooker o di Ray Charles; due impenetrabili occhiali scuri fissi sul naso, testa bassa sulla sei corde, labbro inferiore pendente e il tacco della scarpa sinistra sempre a pestare sul pavimento.
Migliaia di anni luce lontano da qualsiasi millennium bug, da qualsiasi marketing, da ogni ansia da consumismo o da palinsesto televisivo, forse lo stesso scatto di millennio lo tocca come un moschino che si posa sul suo naso. Al di sopra di tutto, ma non distaccato, con poche semplici parole potrebbe raccontare molto di più del mondo lui che il miglior reporter vivente e forse anche piangere lacrime più sincere delle nostre nel vederne brutture e meschinità. Anche questo è Blues.
Così ho cominciato il 2000, oserei dire con qualcosa di più nel cuore e di certo con la voglia di prendere ad esempio una persona. Il mondo è così pieno di eroi fasulli che ogni tanto incontrarne qualcuno autentico, che non abbia nè lustrini nè plastica intorno a sè, ma che si presenta solamente come un uomo qualunque seduto su una sedia con la sua chitarra, è ossigeno per l'anima.
Questo è Louisiana Red, questo è il Blues. Grazie di esserci, ad entrambi.
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